• HOME
  • Blog
  • 2018: più in là della fantascienza

2018: più in là della fantascienza

Mi è sempre piaciuta la fantascienza, da ragazzo ho guardato quasi tutti i film della mia generazione con curiosità e stupore sognando un futuro "lontano" fatto di tutto ciò che vedevo tra cinema e tv. Con la maturità però le cose sono cambiate. Ho l’impressione che la fantascienza sia diventata tutto ad un tratto vecchiume, specie se mi guardo intorno e assisto ai cambiamenti che ogni giorno ci sono nel mondo informatico. Sono sempre più convinto che proprio l’informatica possa cambiare la società e che la società cambi al ritmo dell’informatica stessa anche se con qualche ritardo.

Vi sembra eccessivo quanto dico? Io non credo. Prendiamo il caso della blockchain, una tecnologia anzi una infrastruttura tecnologica fatta di soli algoritmi che è destinata a cambiare ogni azione, relazione, contratto della nostra vita quotidiana; prendiamo quello dell'IoT (l'Internet delle cose), che si è già insinuata nella nostra quotidianità senza nemmeno che ce ne accorgessimo. Come? Pensate al vostro cane che attraverso il suo microchip è sempre localizzato oltre che divenuto oggetto di una anagrafe canina centralizzata, pensate alle vostre piante che attraverso sensori che ne controllano l'illuminazione o il fabbisogno di acqua vengono nutrite e illuminate anche quando non ci siete, e addirittura pensate alle persone che utilizzano un pacemaker o altri dispositivi per il controllo da remoto dei propri parametri biologici. E ancora, prendiamo il caso della realtà aumentata, dell'intelligenza artificiale e di tutto ciò che è la digitalizzazione della vita quotidiana, prendiamo i bitcoin e la democrazia della potenza di calcolo; prendiamo le stampanti 3D capaci di stampare strutture di cellule staminali mentre microchip impiantati nel cervello comunicano con arti robotici.

Da qualche parte ho letto che dal 1980 ad oggi il costo di produzione di un watt di energia è crollato del 99% e i pannelli solari se ci pensate possono potenzialmente realizzare l'utopia di "marxista memoria" della proprietà diffusa di tutti i mezzi di produzione almeno di quelli energetici, e tutto questo senza rivoluzioni cruente come enfaticamente profetizzato, semplicemente seguendo il flusso naturale dell'innovazione che segue le regole del mercato.

Questa nostra è la società dell’informazione, la terza rivoluzione industriale ormai giunta al termine e pronta per essere considerata una quarta rivoluzione industriale in cui prevale il paradigma tecnologico ed informativo sulle tradizionali forme di produzione, in cui la società muta velocemente e molti ragazzi forse i più brillanti hanno già in tasca il biglietto per quel volo per la Silicon Valley; con buona probabilità impiegheranno le loro migliori energie per far sì che la gente clicchi sulle pubblicità.

Sempre meno ha importanza il concetto di nazionalità, di appartenenza, sempre più prevale quello dell'imprenditore di se stesso; sempre meno gli investimenti sono nazionali, sempre più diventano joint venture transnazionali. I vecchi valori quelli che hanno caratterizzato la società dei miei genitori, dei miei nonni e ancor prima, oggi hanno perso di dignità, soppiantati da un individualismo diffuso. La nostra è una generazione viziata che dispone di mezzi, beni e opportunità che le generazioni precedenti leggevano sui libri di fantascienza o guardavano al cinema; noi ne usufruiamo giornalmente. L'archetipo culturale oggi è il nerd le cui app simboleggiano la speranza nella crescita economica e nell’arricchimento personale.

Non dico che ci sia qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Sostengo che questa è l’evoluzione che osservo con occhio disincantato, e con un certo senso di solitudine penso ai valori che abbiamo lasciato andare distraendoci con gadget e nuovi smartphone, rischiando di perdere di vista l'essenziale.

Dovremmo innovare il pensiero stesso e grazie alla tecnologia ridurre il nostro tempo di lavoro o almeno di concentrarci solamente su alcune mansioni, smettendo di compiere tutte quelle azioni che poco o nulla hanno a che fare con la creatività. Se ci concentrassimo solamente sull’ideazione, l’innovazione, i prototipi e i desideri della gente… se ricominciassimo proprio dalla gente e dessimo loro i mezzi finanziari (reddito minimo) per vivere lasciando loro la scelta di fare della propria vita quello che desiderano, liberi dal bisogno materiale dei tre pasti al giorno (considererebbero il lavoro non più un obbligo ma un privilegio, poiché sarebbe l’occasione di fare realmente quello che desiderano, quotidianamente: giardinaggio, arte, moda, letteratura, fotografia, cinema, ogni attività coerente con i propri talenti) le cose andrebbero meglio.

Ci sono stati esperimenti sociologici nel passato (googlate "mincome canada") e utopisti, leggetevi la lettera di cinque famosi economisti John Kenneth Galbraith, Harold Watts, James Tobin, Paul Samuelson e Robert Lampman e firmata da altri 1.200 economisti (comparsa in un articolo pubblicato sulla prima pagina del New York Times, era il 1968): avevano scritto una lettera aperta al congresso statunitense dicendo testualmente "Il paese non si sarà assunte a pieno le sue responsabilità fino a quando non avrà garantito a tutti i suoi cittadini un reddito non inferiore alla soglia ufficiale di povertà". Secondo i cinque economisti, il costo dell’operazione sarebbe stato "alto, ma entro i limiti delle capacità economiche del paese".

Chi di voi mi legge da tempo sa che parlo di leadership e del significato di essere leader. Leggendo queste mie righe penso sia chiaro che una componente essenziale della leadership sia avere una visione, un'idea che sebbene possa sembrare rivoluzionaria o assurda possa essere comunque intesa come una alternativa quanto meno da sognare. Ebbene siamo all'inizio dell'anno, è tempo di buoni propositi. Il mio è senz'altro quello di continuare a sognare .

0
Shares
0
Shares